una figura cupa nelle sedi
di un ambiente illeggibile,
il solo taglio lattescente
del profilo si comunica.
ha una maschera
il viso che recita l’umano,
ma è una lontana
creatura ridotta.
è quasi statica,
lievi circostanze
modificano il volto.
ogni angolo della casa
ogni turbarsi le si rivolge.
ombre marcate, cavi,
carrelli, armadi, frigoriferi,
i pannelli
di una dimora giapponese.
ciò che qui si racconta
è l’osservazione
della figura e il suo corso
lungo le luci oscillanti
di un ricovero,
un’indagine su gesti allusi,
su cenni appena avvertibili
di forze.
e quindi il suo agitarsi
nei corridoi battuti dal rumore,
la prigione di pioggia
in cui ripete il suo ruolo
nelle stanze dell’immagine.
è il proseguire di una storia
costante
di cui ricevi i soli fenomeni.
non leggi
una trama che va
a concludersi,
non è così che conosci.
la storia termina ovunque,
nel riflesso
nel guizzo nell’ombra,
nel disporsi di equilibrio
e di sintomi.
è l’attimo edificato,
agito d’intensità derivante,
l’attimo eseguibile.
la trama è soprattutto
l’accostarsi delle cose.