il villaggio di ruggine
bruna si arrocca
in viuzze scoscese,
tortuosità gelide,
sfila come satura
nervatura del colle.
l’orizzonte è striato
di tetti fulvi
e grumi nevosi,
cappe fumanti
si alternano
in un motivo di cenere,
di tumidi profili.
ripieghi oltre
le possibilità di un vetro,
oltre la cornice
che ordina il paesaggio,
nel quadrato intimo
appannato
di usi e faccende.
sottili case e vicoli
calcano il tempo,
il freddo isola i colori,
aggiunge
decisioni nella forma.
pieni tratti
prendono il paese,
l’asperità è rimossa,
la contrada raccoglie
un’ora tarda.
e già l’aria
si ottenebra di blu,
già brillano
le stanzette ambrate,
il brusio si quieta,
si eccita la veglia.
ed ecco illuminarsi
di un piccolo rosa
una nuvola navigante
di madreperla.
e poi anch’essa si dilegua
e arriva la sera stellata,
lontani lumi si parlano
in un dialogo di punti,
e senti l’insieme,
l’affidamento
a un tempo profondo.
è uno zodiaco abissale
in cui fermare gli astri
e la strada tra loro,
è una notte fatale
in cui ritrovarsi.